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Verso un nuovo paradigma concettuale:la psicopatologia dello sviluppo.

Anna Maria Speranza

21 de agosto de 2006

Verso un nuovo paradigma concettuale:
la psicopatologia dello sviluppo.

di Anna Maria Speranza

 


Il presente lavoro si propone di descrivere l'emergere di un nuovo paradigma teorico per lo studio e la classificazione della psicopatologia dell'età evolutiva, orientato alla comprensione del disturbo psichico in una prospettiva che sottolinea l'importanza delle relazioni per lo sviluppo normale e patologico.

Gli orientamenti tradizionali della psicopatologia classica, basati essenzialmente sul modello medico, hanno sostenuto a lungo una concezione della malattia mentale basata su sindromi determinate alla cui base poteva essere rinvenuto un substrato anatomo-funzionale. L'importanza dei fattori psicologici e sociali era trascurata nell'eziologia e veniva considerata sono in associazione al perdurare della malattia. Questa concezione, che, anche per quanto riguarda l'individuo adulto, è fortemente riduttiva della complessità dei fattori che possono determinare la patologia mentale, per l'esclusione dell'influenza delle determinanti sociali e psicologiche, è risultata tanto più inapplicabile allo studio della psicopatologia infantile, che si caratterizza invece per la grande flessibilità e mutevolezza dei sintomi e del loro significato diagnostico.

Per quanto le recenti classificazioni diagnostiche abbiano aperto i loro orizzonti ad una visione più complessa e multidimensionale del disturbo psichico (come è avvenuto per esempio con la classificazione del DSM-IV elaborata dall'American Psychiatric Association, in cui ogni disturbo viene valutato su 5 assi in grado di garantire il maggior numero di informazioni anche per quanto riguarda le condizioni fisiche, gli eventi psicosociali stressanti e la valutazione globale del funzionamento), esse sono ancora lontane dal fornire una visione esaustiva della psicopatologia. Inoltre, il carattere prevalentemente descrittivo di questo sistema diagnostico e la scarsa attenzione agli aspetti evolutivi e relazionali dei disturbi non ne permettono una efficace utilizzazione per quanto riguarda l'età evolutiva.

Il nuovo paradigma che viene offerto dalla psicopatologia dello sviluppo permette di ovviare a diversi limiti dei sistemi tradizionali di classificazione diagnostica:
- da una parte il problema dell'etichettamento, in cui la devianza veniva considerata inerente all'individuo e come tale caratterizzata da cronicità e staticità;
- in secondo luogo il carattere di discontinuità che veniva ad assumere il comportamento patologico rispetto a quello normale;
- infine la caratterizzazione del disturbo in termini individuali piuttosto che relazionali.

Le premesse da cui parte la psicopatologia dello sviluppo tendono per l'appunto a contrastare tali tendenze: innanzitutto la patologia viene concepita come un processo esteso nel tempo (Cicchetti, 1984) e in quanto tale osservabile solo tenendo conto dei suoi aspetti temporali; ai singoli sintomi che, soprattutto durante l'età evolutiva subiscono continui cambiamenti nel corso del tempo, non è possibile attribuire un significato definito e chiaro se non nell'ambito di una valutazione del funzionamento e dell'adattamento generale della personalità dell'individuo; lo studio contemporaneo dei comportamenti adattativi e disadattativi inoltre permette di definire con maggiore chiarezza le diverse linee evolutive che possono essere intraprese nel corso dello sviluppo e che sono soggette continuamente a nuovi adattamenti o all'insorgere di deviazioni patologiche (Rutter, 1988).

Questo nuovo paradigma quindi, ponendo l'accento sul carattere fondamentalmente evolutivo e relazionale del comportamento deviante, viene a costituirsi come valida alternativa agli approcci descrittivi tradizionali. Nato negli anni '70 ad opera di un certo numero di studiosi (Cicchetti, 1984; Sroufe & Rutter, 1984; Sameroff & Emde, 1989) interessati principalmente a comprendere quali fossero i meccanismi e i processi attraverso i quali definire il disturbo psichico, la psicopatologia dello sviluppo (Developmental Psychopathology) ha delineato un'area di studio sempre più specifica e al tempo stesso comprensiva della molteplicità dei fattori implicati nella patologia mentale.

La prospettiva evolutiva e longitudinale e la fondamentale continuità del funzionamento caratterizzano questo nuovo paradigma rispetto alla tradizionale psichiatria dell'infanzia e l'attenzione ai modelli individuali di adattamento e disadattamento la distinguono dalla psicologia dello sviluppo. Il suo obiettivo principale infatti è quello di riconoscere le continuità nei percorsi comportamentali adattativi e disadattativi che collegano gli aspetti precoci dello sviluppo ai disturbi dell'età adulta. Essa unisce inoltre gli sforzi operati nel campo della ricerca dalla psicologia accademica all'attenzione all'individualità e alla rilevanza delle esperienze precoci presupposte dalla psicologia clinica (Cicchetti, 1989). Per questa ragione la ricerca longitudinale sui fattori di rischio viene ritenuta per molti versi paradigmatica della psicopatologia dello sviluppo (Sroufe & Rutter, 1984), che viene a costituirsi come approccio comprensivo in grado di integrare elementi derivati da diversi campi di indagine in un complesso programma di ricerca.

L'assunzione di una prospettiva evolutivo-longitudinale permette di comprendere i complessi legami tra adattamento precoce e successivi disturbi alla luce di una considerazione complessa che vede la progressiva trasformazione e riorganizzazione del comportamento come esito dell'intrecciarsi continuo dell'organismo in via di sviluppo nella sua interazione con l'ambiente. La novità di queste considerazioni può essere intravista in uno dei concetti cardine intorno al quale si organizza questo paradigma: il concetto di continuità nel modello evolutivo, che vede il delinearsi di una relazione a doppio legame tra normalità, patologia, infanzia ed età adulta. Viene proposta cioè una coerenza nello sviluppo di ogni individuo, che non è incompatibile o in contraddizione con la nozione di plasticità, ma che anzi ne sottolinea gli aspetti di cambiamento.

Il funzionamento dell'individuo in questo senso è coerente nei periodi di crescita discontinua e al di là delle importanti trasformazioni del comportamento manifesto (Sroufe & Rutter, 1984). Si presume quindi che anche nel momento in cui si verificano forme di disadattamento comportamentale esse siano in relazione con un particolare tipo di storia adattativa precoce. Assumere una posizione teorica a favore della continuità significa assumere una serie di ipotesi correlate per quanto riguarda l'eziologia e la capacità di fare previsioni. Secondo la prospettiva delineata, la continuità dello sviluppo è la continuità dell'organizzazione adattativa nel tempo. Il principio dell'adattamento rappresenta il risultato di un processo interattivo tra l'individuo e l'ambiente il quale determina la costruzione di un percorso individuale che si forma progressivamente come conseguenza di queste interazioni e che può essere concettualizzato in termini di linee di sviluppo (Bowlby, 1988).

Il problema delle deviazioni e delle modificazioni delle traiettorie di sviluppo interessa profondamente la psicopatologia dello sviluppo perché uno dei suoi obiettivi principali è quello di riuscire a riconoscere queste deviazioni e poterne prevedere le conseguenze (Cicchetti, 1984). Il paradigma della continuità offre la possibilità, attraverso la conoscenza delle relazioni che intercorrono tra i comportamenti e la descrizione delle linee di sviluppo della personalità, di poter accedere al problema della previsione degli sviluppi psicopatologici; questo rappresenta, secondo Sroufe e Rutter (1984), "la più importante area di studio nella teoria e nella pratica clinica con i bambini".

Il compito della previsione della psicopatologia è quello di riuscire a definire e valutare quali siano le manifestazioni dei disturbi precoci del comportamento che possono essere collegati a patologie relativamente precise nell'età adulta e a riconoscere le trasformazioni a cui vanno incontro questi disturbi durante lo sviluppo. Sroufe (1990) a questo proposito, riprendendo il modello delle linee evolutive di Bowlby nel tentativo di adattarlo al problema che riguarda i modelli di adattamento e disadattamento, ne deriva diverse proposizioni generali:

- innanzitutto, anche prima dell'emergere di una chiara psicopatologia, certe linee rappresentano fallimenti adattativi che predicono (in modo probabilistico) una successiva patologia.
- in secondo luogo i modelli ad esito patologico associati con una data linea precoce sono diversi, ma correlati concettualmente (ad es. antisocialità e alcolismo sono probabilmente associati entrambi con disturbi precoci della condotta e rifiuto dei pari).
- secondo il principio dell'equifinalità, inoltre, linee alternative di sviluppo possono condurre ad uno stesso risultato comune.
- il cambiamento, infine, rimane possibile ad ogni fase dello sviluppo per quanto sia comunque vincolato al precedente adattamento.

Nell'insieme, un modello di questo genere illustra l'importanza di considerare unitamente lo sviluppo normale e patologico. E' solo attraverso il confronto con i parametri evolutivi normali, infatti, che è possibile valutare i risultati di un processo adattativo.

Un altro importante aspetto del paradigma della psicopatologia dello sviluppo è la prospettiva relazionale dell'adattamento. Uno dei suoi obiettivi principali infatti è quello di delineare una sorta di percorso a spirale, nella normalità quanto nella patologia, che muovendo dall'interazione madre-bambino studia l'emergere dell'individuo dalla relazione (cfr. a questo proposito le interazioni tra ecotipo, fenotipo e genotipo in Sameroff & Emde, 1989). Il suo presupposto infatti è che l'interazione madre-bambino sia equiparabile ad un sistema biologico, che si struttura in accordo con il principio dell'organizzazione e della regolazione, e che la regolazione che si stabilisce nelle prime interazioni venga progressivamente consolidata e adattata alle esigenze dello sviluppo.

La regolazione sarà inizialmente di tipo fisiologico, poi comportamentale ed infine emotiva e sociale e verrà considerata un parametro fondamentale per la descrizione del funzionamento di questo sistema biologico, secondo un approccio che mette l'accento non sull'uno o sull'altro individuo, ma sulla loro interazione. Il tema della regolazione diventa quindi, secondo Sameroff e Emde (1989), "la chiave che permette di comprendere lo sviluppo [...] e la patologia" (p.29), dal momento che le variazioni nella qualità, nella coerenza e negli obiettivi della regolazione eserciteranno influenze determinanti nella qualità dell'adattamento individuale.

I principi della regolazione e dell'organizzazione sono elementi costitutivi della teoria generale dei sistemi, secondo la quale gli organismi viventi sono concepiti come una serie di elementi in interazione che formano una struttura organizzata e finalizzata, che tende a mantenersi attraverso meccanismi di autoregolazione contemporaneamente orientati alla conservazione di un equilibrio dinamico e alla progressione verso un'organizzazione di complessità crescente. L'utilizzazione di questa prospettiva nell'analisi dell'interazione madre-bambino permette di evidenziare la natura essenzialmente relazionale dello sviluppo e di studiare in tal modo la regolazione tra il bambino e il suo ambiente.

Possiamo infatti considerare il processo maturativo dello sviluppo come caratterizzato dalla risoluzione di una serie interattiva di compiti adattativi che permettono al bambino di progredire da un livello di organizzazione biologica e diadica - in cui la madre deve garantire l'omeostasi fisiologica - ad un livello di organizzazione psicologica individuale, tramite una graduale acquisizione delle capacità per l'autoregolazione. Ognuno di questi livelli di organizzazione adattiva è il risultato dell'interazione del bambino con una serie di sistemi regolatori che promuovono la progressione: un sistema di "microregolazione" con il caregiver, un sistema di "miniregolazione" con il codice familiare ed uno di "macroregolazione" con il codice culturale (Sameroff & Emde, 1989).

Il ruolo della figura materna in questo processo di integrazione sociale è quello di coordinare queste regolazioni in funzione della specifica sensibilità di ogni bambino, garantendo in questo modo contemporaneamente l'adattamento sociale e l'individualità. L'elasticità della regolazione viene quindi a costituirsi come il parametro su cui valutare la funzionalità di una relazione. Questo parametro descrive gli aspetti dinamici della regolazione focalizzandosi sulla sincronia, sulla reciprocità, sull'impegno e sulla sintonia dei comportamenti in relazione allo scambio affettivo tra i componenti dell'interazione (Stern, 1985).

L'accento che è stato posto sull'importanza delle relazioni nella strutturazione della personalità ha permesso di ripensare anche la diagnosi e la classificazione dei disturbi in termini relazionali. A questo proposito Sameroff e Emde propongono di lavorare su un sistema diagnostico multicomponenziale che possa prendere in considerazione i disturbi relazionali, quale vero oggetto diagnostico al posto dell'individuo. Una diagnosi attenta a questa area permette di considerare il modello di regolazione, la tonalità affettiva e la fase evolutiva della relazione per comprendere le turbe, le perturbazioni e i disturbi che possono intervenire nello sviluppo e le loro differenti potenzialità nel predire problemi individuali a breve o a lungo termine.

In questo ambito teorico la ricerca che ha preso avvio dalla teoria dell'attaccamento di Bowlby ed ha contribuito al delinearsi di un sistema di classificazione delle relazioni di attaccamento tra madre e bambino (Ainsworth et al., 1978) rappresenta una particolare espressione del più generale paradigma della psicopatologia dello sviluppo (Bowlby, 1988). Secondo tale teoria, infatti, la costruzione del sé individuale appare come il precipitato dell'organizzazione del sistema diadico madre-bambino, a cui sono attribuite funzioni regolative che porteranno al costituirsi di un'autoregolazione interna. Le rappresentazioni mentali in grado di fornire coerenza a tale costruzione vengono definiti modelli operativi interni del sé e dell'altro; esse emergono dall'esperienza relazionale e presuppongono il funzionamento dell'individuo in termini essenzialmente relazionali.

Gran parte dei concetti generali che abbiamo delineato per la psicopatologia dello sviluppo (continuità, adattamento, regolazione, qualità della relazione) vengono utilizzati nell'ambito di questo paradigma teorico; inoltre attraverso gli strumenti che esso ha messo a disposizione della ricerca (Strange Situation, Adult Attachment Interview, ecc.) sembra possibile iniziare a tracciare quella linea continua dei percorsi adattativi e disadattativi lungo la quale progredisce lo sviluppo individuale e che rappresenta l'obiettivo più generale di questa disciplina.

Bibliografia

Ainsowrth M.D.S. et al. (1978), Patterns of attachment, Hillsdale, N.J., Lawrence Erlbaum.

Bowlby J. (1988), "Developmental psychiatry comes of age", The American Journal of Psychiatry, 145, 1-10 (trad.it. Dalla teoria dell'attaccamento alla psicopatologia dello sviluppo, Rivista di Psichiatria, 23, 2, 57-68).

Cicchetti D. (1984), "The emergence of developmental psychopathology", Child Development, 55, 1-7.

Cicchetti D. (1989), "Developmental psychopathology: some thoughts on its evolutions", Development and Psychopathology, 1, 1-4.

Rutter M. (1988), "Epidemiological approach to developmental psychopathology", Archives of General Psychiatry, 45, 486-495.

Sameroff A.J., Emde R.N. (1989)(Eds.), Relationships disturbances in early childhood. A developmental approach, Basic Books, New York (Trad.it. I disturbi delle relazioni nella prima infanzia, Bollati Boringhieri, Torino, 1991).

Sroufe L.A. (1990), "Considering normal and abnormal together: the essence of developmental psychopathology", Development and Psychopathology, 2, 335-347.

Sroufe A.L., Rutter M. (1984), "The domain of developmental psychopathology", Child Development, 55, 17-29.

Stern D.N. (1985), The interpersonal world of the infant, New York, Basic Books (trad.it. Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1987).

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